LA VITA DIPINTA
di
IGOR ESPOSITO

regia, interpretazione, luci di TONINO TAIUTI
scene \ Assistente alla regia LUCA TAIUTI
costumi SARA MARINO
sguardo Dada di GIOVANNI LUDENO
direttore di produzione LINDO NUDO
produzione TEATRO ROSSOSIMONA
cura e comunicazione ROSALBA RUGGERI

La vita dipinta è una partitura monologante che prende vita e risuona con il corpo e la voce di Tonino Taiuti sulle note di una biografia rocambolesca, fantastica e surreale. Biografia d’un artista immaginario che canta le sue imprese pittoriche e i suoi poetici incontri con alcuni dei grandi maestri che hanno segnato il corso della storia dell’arte del Novecento, lasciandone un’impronta indelebile chi con il proprio vissuto o con la fame interiore, chi con un lascito di immaginazione, coraggio o radicalità.
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Il protagonista della Vita dipinta è un artista immaginario che diviene così testimone e commensale, al contempo, di un’esaltante e necessaria esperienza artistica ed umana che percorre il Novecento. E lo fa attraverso un capriccio o un sogno dell’immaginazione, divenendo specchio e riflesso della follia. Il suo errare immaginifico è simile a quello di un vecchio Don Chischiotte dell’arte contemporanea. A sostegno delle sue imprese – va però detto – che non c’è nessun Sancho Panza, ma una serie di angeli custodi, di cui forse anche noi conosciamo i nomi e i volti. Artista sradicato e solitario, passo dopo passo, sprofonda nel suo delirio e non rinsavisce come il vecchio hidalgo della Mancia; ma, forse, proprio per questo sembra incarnare e ricordarci ciò che scrisse Michel Foucault nella sua monumentale Storia della follia nell’età classica: “La follia, nei suoi vani ragionamenti, non è vanità”. Così come non è vanità l’arte attoriale di Tonino Taiuti. Anarchico e solitario artista della scena napoletana, al quale ho pensato, sin dalla prima battuta, come unico possibile interprete di questo monologo. [Igor Esposito]
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La vita dipinta è un monologo funambolico che attraverso la voce bambinesca d’un folle ci fa sprofondare nel cuore della pittura e dell’arte e lo fa con leggerezza, ironia e dolore; cercando di riportare alla luce versi, pensieri e immagini di alcuni grandi maestri del Novecento. La partitura è una drammaturgia dove prende corpo una scrittura musicale e ritmica che gioca su più registri, che vanno dall’affabulatorio al lirico, dando così la possibilità all’attore di farsi giullare cantastorie oppure oracolo della follia che brucia in un delirio angelico di poesia. Ho sentito, già dalla prima lettura, questo testo come necessario: perché ci mette di fronte al coraggio e alla radicalità che da sempre è – a mio avviso – il cuore pulsante dei veri artisti e che rifugge dal mondano e vano chiacchiericcio in cui, gran parte dell’arte, sembra essersi persa e degradata. [Tonino Taiuti]

EDIPO A TERZIGNO

scritto e diretto da Fortunato Cerlino
con Lino Musella, Emanuela Ponzano, Massim Zordan
aiuto regia Ester Tatangelo
scene Angelo Gallo
musiche Peppe Bruno
luci Samuele Ravenna

produzione Rossosimona, Hermit Crab, Fortunato Cerlino
in collaborazione con E45 Napoli fringe festival, Fondazione Campania dei festival

liberamente ispirato a Sofocle e alla cronaca contemporanea

“Quanno ‘a furmicula mette ‘e scelle è segno vo’ murì”.

Un deposito abbandonato fa da rifugio ad un capocamorra.
Ovunque immagini che raffigurano Padre Pio e il Cristo. Un uomo dello stato dialoga con il capocamorra, viene a chiedere un rimedio al morbo dei rifiuti che soffocano la città. L’epoca degli affari sulla ‘monnezza’ deve finire. Il nuovo affare dell’uomo ritrovato si chiamerà risanamento. Il politico spiega all’amico camorrista il nuovo business. Per procedere però la vecchia icona del male deve sacrificarsi. Il mondo, la società, hanno bisogno di un agnello sacrificale, un serpente a cui schiacciare la testa.
Nello stesso deposito una statua di madonna prende vita. Rapita dalle gesta eroiche della società sportiva calcio Napoli, rincorre il senso della sua presenza nella vita umana. La madonna del pallone è estasiata dalle capacità tecniche e creative di quegli uomini in calzoncini, capaci di miracoli. La Santissima crede che tutta l’umanità sia ormai una squadra pronta a vincere la sfida con la propria condizione.
Il mito offre la possibilità di rileggere la cronaca. Oggi, più che mai, occorre verificare se è ancora vivo un qualche Dio, anche laico che ci offra un enigma a cui rispondere.

“Se le denunce di Saviano, la Capacchione, di Sodano, di Cantone e di tanti altri coraggiosi che osano sfidare apertamente le connivenze tra camorra e politica nella gestione dei rifiuti, ci mettono di fronte ad una realtà che supera la fantasia, allora alla fantasia resta la possibilità di divenire mito. L’abitudine ad atti di una mostruosità crescente è un morbo devastante; la sensazione che le cose non possono essere cambiate è una malattia che silenziosamente fiacca lo spirito, rende l’uomo passivo e cieco, deforma, ammala le carni e l’anima.
La (comprensibile) paura genera connivenza, la paralisi genera mostri, tumori in giacca e cravatta, oppure abbronzati, palestrati, armati, affamati di materia e dolore, controfigure di eroi da film d’azione americani.
Il mito allora, come le favole, offre la possibilità di rileggere la cronaca. Oggi, più che mai, occorre verificare se è ancora vivo un qualche Dio, anche laico, che abita le nostre stanze segrete e che ci offre un enigma a cui rispondere. L’uomo sfida il proprio destino, avvelena la propria misteriosa bellezza. Deturpare la terra è come violentare la propria madre. Questo secolo iniziato con crolli e ribellioni della natura, che fatica a tenere in ordine i numeri di una economia astratta, che si rifugia nel virtuale mentre fuori dalla finestra piovono rane, vuole forse suggerire un cambiamento, una riflessione sulla condizione umana?
Edipo percorre un futuro che è nel suo passato. Come un criceto su una ruota in gabbia si illude di fuggire il suo destino. La sua malattia e la sua punizione sono la cecità.”
Fortunato Cerlino

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