Mio cognato Mastrovaknic
di Ciro Lenti
Con Paolo Mauro e Marco Tiesi
Regia Lindo Nudo
Costumi Rita Zangari
Direzione tecnica Jacopo Andrea Caruso
Tecnico di palcoscenico Raffaele Iantorno
Aiuto regia Sofia Sangiovanni
Assistente di palcoscenico Yonereidy Bejerano Jane
Ufficio stampa Franca Ferrami
Direzione di produzione Lindo Nudo
Produzione Teatro Rossosimona
Anno 1943. Nel campo di internamento di Ferramonti, Uccio, un giovane fabbro del luogo, condannato per reati comuni, viene rinchiuso per errore nella baracca degli omosessuali, che a quel tempo venivano perseguitati quali nemici della razza. Il giovane è preoccupato, perché teme che nel paese possano diffondersi voce calunniose che mettano in discussione la sua virilità. In cella conosce Mastrovaknich, un professore polacco, rinchiuso perché dichiaratosi omosessuale. Il rapporto fra i due è all’inizio conflittuale, soprattutto a causa dei pregiudizi di Uccio. Ma poi il Professore escogita un piano singolare, che potrebbe salvare l’onore di Uccio, anche se in un primo momento sembra tutto il contrario.
Lo spettacolo, con taglio umoristico, prende le mosse dalle ansie omofobe di Uccio, occasionate dall’essere stato rinchiuso nella baracca del “disonore”, le quali finiscono inevitabilmente per avere come bersaglio il suo compagno di cella, verso cui si esprimono in modo quasi parossistico, causa la forzosa convivenza nell’angusta cella. Un pregiudizio rude, ingenuo, riprodotto quasi acriticamente sul calco di un’ubbia popolana alimentata da un assiomatico e quasi vignettistico senso della virilità, dell’onore e del pudore. Di tanto in tanto, però, affiora qua e là anche la sorniona riserva mentale dell’intellettuale polacco verso il suo compagno di cella, che si delinea ai suoi occhi come un sempliciotto, di una crudeltà quasi preterintenzionale nella sua natura primaria e animalesca, eppure insuperabile, un minus sapiens condannato all’ergastolo di un’atavica ignoranza senza speranza di redenzione, come la gran parte del proletariato italiano dell’epoca.
Ma se la convivenza in un primo momento esaspera lo scontro, con il passare dei giorni, la condivisione di un progetto di fuga, vissuto come un anelito di salvezza e libertà, farà germogliare tra i due un’incipiente amicizia in grado di colmare la distanza mentale che li divide.
La storia si sviluppa tutta all’interno di un campo di internamento sui generis, cioè quello di Ferramonti, dove la spietata teoria teutonica dello sterminio del diverso, reo di attentare alla purezza della razza, viene stemperata nei fatti da un trattamento umanitario dei prigionieri, così da spingere il protagonista polacco a sostenere ironicamente che in quel campo si respira l’incapacità della gente di quelle parti di dare applicazione alla fanatica progettualità della mente, causa una sregolata esuberanza di cuore.
Lo spettacolo, che pure riporta fatti dell’epoca realmente accaduti, prende le mosse da un falso storico: nel campo di Ferramonti non è mai stata realizzata una baracca per gli omosessuali. Si porta in scena, dunque, una storia di fantasia in un luogo di fantasia, ma che pure si muove sulle coordinate della Storia, così da restituirci, sul telaio della finzione creativa, un singolare spaccato della realtà di quegli anni drammatici, in cui si intrecciano, nello specifico ordito di tempo e di luogo, le sempiterne corde dell’animo umano.
Lo spettacolo, con taglio umoristico, prende le mosse dalle ansie omofobe di Uccio, occasionate dall’essere stato rinchiuso nella baracca del “disonore”, le quali finiscono inevitabilmente per avere come bersaglio il suo compagno di cella, verso cui si esprimono in modo quasi parossistico, causa la forzosa convivenza nell’angusta cella. Un pregiudizio rude, ingenuo, riprodotto quasi acriticamente sul calco di un’ubbia popolana alimentata da un assiomatico e quasi vignettistico senso della virilità, dell’onore e del pudore. Di tanto in tanto, però, affiora qua e là anche la sorniona riserva mentale dell’intellettuale polacco verso il suo compagno di cella, che si delinea ai suoi occhi come un sempliciotto, di una crudeltà quasi preterintenzionale nella sua natura primaria e animalesca, eppure insuperabile, un minus sapiens condannato all’ergastolo di un’atavica ignoranza senza speranza di redenzione, come la gran parte del proletariato italiano dell’epoca.
Ma se la convivenza in un primo momento esaspera lo scontro, con il passare dei giorni, la condivisione di un progetto di fuga, vissuto come un anelito di salvezza e libertà, farà germogliare tra i due un’incipiente amicizia in grado di colmare la distanza mentale che li divide.
La storia si sviluppa tutta all’interno di un campo di internamento sui generis, cioè quello di Ferramonti, dove la spietata teoria teutonica dello sterminio del diverso, reo di attentare alla purezza della razza, viene stemperata nei fatti da un trattamento umanitario dei prigionieri, così da spingere il protagonista polacco a sostenere ironicamente che in quel campo si respira l’incapacità della gente di quelle parti di dare applicazione alla fanatica progettualità della mente, causa una sregolata esuberanza di cuore.
Lo spettacolo, che pure riporta fatti dell’epoca realmente accaduti, prende le mosse da un falso storico: nel campo di Ferramonti non è mai stata realizzata una baracca per gli omosessuali. Si porta in scena, dunque, una storia di fantasia in un luogo di fantasia, ma che pure si muove sulle coordinate della Storia, così da restituirci, sul telaio della finzione creativa, un singolare spaccato della realtà di quegli anni drammatici, in cui si intrecciano, nello specifico ordito di tempo e di luogo, le sempiterne corde dell’animo umano.
repliche
07 giugno 2024, Teatro Comunale “Gambaro” San Fili (Cs)
16 gennaio 2025, Teatro Rendano, Cosenza
18 gennaio 2025, Teatro Il Piccolo, Castiglione C. (Cs)
20 gennaio 2025, Teatro Odeon, Paola (Cs)
21 gennaio 2025, Teatro Garden, Rende (Cs)
22 gennaio 2025, Teatro Vittoria, Diamante (Cs)
23 gennaio 2025, Auditorium Troisi, Morano (Cs)